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Nel 1529 l’imperatore Carlo V confiscò a Francesco di Lorya, che si era schierato con i francesi, il feudo di Aieta e ne fece donazione a un non ben precisato Lonquingen e nel 1530 a un certo Stringhen.
Il Palazzo di Aieta era stato costruito come dimora baronale nel sec. XIII da Riccardo di Loyra o Loria, marito in prime nozze di Palliana di Castrocucco e in seconde nozze di Isabella Lancia (da cui nacquero Riccardo Junior, Ruggero, futuro Ammiraglio, e Ilaria) e rimase proprietà dei Loira con Riccardo Junior e con i figli dell’Ammiraglio Ruggerone, Carlo e Ruggero Berengario che sposò la vedova Giovanna di Tortora (questa in prime nozze aveva sposato Rainaldello Castrocucco da cui era nato Giacomo Castrocucco) da cui nacque Ricciardello di Lorya che ebbe ad Aieta come magistrato ed esattore il fratello uterino Giacomo Castrocucco.
Il feudo passò nel XV secolo al discendente collaterale dei Lorya Tommaso
a cui, avendo egli partecipato alla congiura dei baroni ed essendosi
schierato con i Francesi al tempo della venuta in Italia di Carlo VIII, il
feudo fu tolto nel 1496 da Ferdinando II a Ferrante che lo concesse a
Giovanni De Montibus (il feudo di Aieta comportava il titolo di Barone) e
passò alla figlia Margherita che sposò Marcello Colonna, signore di
Cirella. Successivamente per vendita la terra di Aieta passò a Diana
Carafa che sposò Francesco di Lorya a cui venne tolto per infedeltà da
Carlo V.
I Martirano tennero il feudo fino al 1571 e per prestigio della famiglia e
per adeguarsi alla concezione rinascimentale fecero ristrutturare e
ampliare l’antico e mal ridotto castello baronale e crearono, affidando
lavori - si deve supporre – ad architetti toscani che allora operavano
nel regno di Napoli, il nuovo palazzo con la meravigliosa facciata
rinascimentale che è modello unico nell’Italia meridionale.
Il definitivo piano di gronda fu sistemato con largo cornicione aggettante in pietra scura in cui vennero inseriti i mascheroni delle grondaie. Furono modificate anche le divisioni interne e creata, fra l’altro, la Cappellina dedicata a San Giovanni Battista Evangelista con portale di accesso sormontato da timpano interrotto al centro per inserirvi la croce di pietra e lo stemma gentilizio; per erigere l’altare si rese necessario chiudere il corrispondente balcone della facciata e per dare luce alla cappella furono aperte ai lati dell’altare in alto due finestrine rettangolari che modificarono, deturpandola, la simmetria dei vuoti della facciata. Anche il loggiato venne probabilmente integrato con l’aggiunta sulla facciata interna della chiave di volta dell’arco centrale dello stemma dei Cosentino: albero con leone rampante volto a sinistra.
Anche la facciata dell’ingresso principale venne modificata con la chiusura di alcune finestre e l’apertura di balconi le cui soglie in pietra modanata sono sorrette da quattro beccatelli (le soglie dei balconi della facciata principale sono invece sorrette da tre beccatelli); il portale litico dell’ingresso principale con stipiti costituiti da piedritti e con arco a tutto sesto ha una luce di cm 185 e l’accesso era controllato e difeso, oltre che dalle feritoie della adiacente torre come difesa principale, anche da una caditoia soprastante il portale. Il Palazzo, che ha forma irregolare (lungo circa m. 50, largo m. 40) e fra i Palazzi del Rinascimento in Calabria è il più interessante per la facciata, nella sua struttura definitiva, che si può ancora in parte osservare, visto da ovest presenta una facciata a tre piani che si conclude in alto con meraviglioso cornicione in cui sono visibili nove mascheroni. Nel piano dei sotterranei, a cui si scendeva con scalette, si trovavano le prigioni, le cantine, le cisterne dell’acqua illuminate da nove finestrine rettangoli munite di inferriate; al 1° piano, o piano terra rispetto all’entrata principale, vi era il corpo di guardia, le sale di vigilanza e di attesa, la Cappella, l’Ufficio del marchese e del vassallo, quello del Governatore e del Mastrodaddi, la sala di ricevimento, le sale di soggiorno, di musica e quelle di giuoco, i servizi igienici, la sala d’armi, le cucine e le dispense; al secondo piano si trovavano tutte le camere da letto con nove balconi sulla facciata; ad est erano le due torri di servizio e di sorveglianza; la prima con volte a botte a sud – est, a destra dell’ingresso, aveva al di sotto la cisterna per la raccolta delle acque piovane e il pozzo e sopra i locali per il personale di servizio e di vigilanza con sovrastante una terrazza da cui si vigilava l’ingresso al Palazzo, il piazzale antistante e l’ampio territorio circostante; la torre era fornita di feritoie per la difesa; l’altra torre, ubicata a nord – est, a pianta quadrangolare e
collegata alla prima dal cammino di ronda, nella parte bassa ospitava la
cucina con tutte le masserizie e i forni, la dispensa e la sala d’armi e
nella parte alta il vano adibito a dimora del personale di servizio.
Attaccata alla torre di nord – est, con sviluppo in direzione est –
ovest, era la colombaia per allevare sia i colombi viaggiatori, di cui ci
serviva per inviare messaggi e comunicazioni e sia per i comuni colombi
domestici (il muro esterno presenta ancora una serie di fori simmetrici).
Le torri e la colombaia con i sottostanti locali facevano certamente parte
delle strutture del primitivo palazzo feudale. In totale il Palazzo dopo
la ristrutturazione e l’ampliamento aveva una quarantina di vani; il
cortile interno di disimpegno era lungo m. 28 e largo m. 10. Dopo un secolo di inerzia ed abbandono solo il 25 gennaio 1980 con sentenza del Pretore di Scalea, il Palazzo è passato di proprietà del Comune di Aieta per usucapione. I lavori del restauro cominciati il 1° settembre 1981 e terminati al sorgere del 2000, hanno restituito l’importante bene culturale alla collettività (n.d.r.).
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